La petizione al Consiglio d'Europa promossa da Lawyers for Freedom con l'Avvocato Giulio Marini che lavora a Bruxelles - per il rispetto delle Risoluzione 2361/2021 deliberata il 27 gennaio 2021 dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e della successiva Risoluzione 2383/2021 (il Consiglio d'Europa non è il Consiglio Europeo della Unione Europea ma un diverso organismo internazionale: una organizzazione intergovernativa nata nel 1949 e dunque precedentemente rispetto alla CEE poi UE) doveva chiudere il 4 gennaio 2022 ma pare sia ancora aperta. Alla mattina del 09 gennaio 2022 ha raggiunto già quasi 28 mila firme. Chi volesse ancora firmare trova il modulo online.
Nella Risoluzione si raccomandava già quasi un anno fa alle Istituzioni e Paesi dello spazio europeo di non discriminare le persone che avessero scelto la obiezione all'atto vaccinale, e che la vaccinazione anti-Covid-19 non fosse imposta obbligatoriamente da alcuna normativa. Raccomandazione sinora rimasta lettera morta: anzi, completamente disattesa da diversi Stati che hanno implementato politiche emergenziali discriminatorie e lesive dei diritti fondamentali dell'individuo, nella gestione della cosiddetta "pandemia" della COVID-19. Seppur non vincolante giuridicamente, essa costituiva e costituisce un indirizzo di politica legislativa che i Paesi membri del Consiglio d'Europa - e la stessa UE - dovrebbero tenere presente nella gestione emergenziale.
Io ho firmato la petizione in data 01 gennaio 2022. Chi volesse ancora firmare e qualora sia ancora aperta, trova il modulo e la procedura on-line: la procedura è semplice e richiede una conferma dei propri dati via email cliccando sulla email di verifica. Nessun dato personale verrà divulgato tranne il proprio nome e cognome che sarà pubblico. Qui di seguito - dopo i riferimenti bibliografici - il testo della petizione in lingua italiana.
Luca Scantamburlo
01 gennaio - 09 gennaio 2022
https://www.dirpubblica.it/contents.aspx?id=4225
Commissione europea: DG Giustizia e diritti fondamentali; Flusso e protezione internazionale dei dati;
DG Crescita – Enforcement I Unità E1;
Il Governo italiano (con “Decreto Legge” 26 novembre 2021, n. 172) ha introdotto una vaccinazione obbligatoria per tutti gli insegnanti e il personale delle scuole, dell’esercito e delle forze di polizia, e un Pass riservato alle sole persone vaccinate o guarite (c.d. “2G”, adottato in Germania e Lussemburgo), prorogando agli operatori sanitari l’obbligo introdotto dalla “Legge” 76/21; Francia e Lussemburgo stanno riducendo la durata dei test PCR o RAAT Covid a sole 24 ore, Austria e Grecia stanno introducendo misure che impongono la vaccinazione obbligatoria al pubblico in generale e, infine, il presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha incoraggiato gli Stati membri a prendere in considerazione tale possibilità; tutto ciò sta creando una compressione senza precedenti dei diritti fondamentali dei cittadini ed una percezione ampiamente condivisa di insicurezza e mancata protezione da parte delle istituzioni europee, in particolare perché il Consiglio d’Europa non ha mai preso una posizione ufficiale rispetto alla violazione oggettiva delle sue Risoluzioni e dei rimedi previsti, neppure quando gli accademici hanno chiesto un’azione la scorsa estate (lettera del 23 agosto 2021) per contrastare la diffusione delle misure che hanno condotto alla situazione attuale.
Al riguardo, le criticità sopra menzionate portano ad una violazione dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dove un trattamento differenziato per i non vaccinati esula chiaramente dagli scopi della Convenzione; il trattamento differenziato proposto nella normativa italiana prevede un Pass (basato sul Certificato UE rilasciato ai sensi del Regolamento UE 953/21) che esclude la possibilità di ottenerlo in esito all’esecuzione di un test, con l’obiettivo di impedire alle persone non vaccinate l’accesso alle attività sociali (sembra che anche Germania e Francia stiano adottando regole simili).
Oltre alle complessità tecniche legate alla modifica dell’infrastruttura digitale per soddisfare il Regolamento UE 679/16 ed ottenere contemporaneamente tal genere di pass, il fatto che alle persone sane (come quelle recentemente testate) sia impedito di beneficiare di attività ricreative è chiaramente una discriminazione; si ricorda che invece i test restano ancora validi quali prove per accedere ai luoghi di lavoro, per cui la discriminazione sarà limitata alle attività di svago, e rispetto a ciò non è stata neppure presa in considerazione l’eccezione dei servizi essenziali (es. situazione di emergenza – ad esempio un malfunzionamento dell’auto in tarda serata lontano da casa – un guidatore non potrebbe avere l’opportunità di eseguire un tampone e sarà costretto a dormire fuori, magari in pieno inverno).
Sebbene la Francia abbia compiuto progressi nell’ancorare l’uso del pass al tasso di infezione ed a quello di vaccinazione, la riduzione della durata del test a 24 ore equivale di fatto a una vaccinazione obbligatoria; un trattamento sanitario costoso imposto così frequentemente per avere accesso alle attività della vita (dove la reale necessità di test è lungi dall’essere dimostrata in termini di proporzionalità) compreso il diritto al lavoro, costringono chiaramente le persone a vaccinarsi, ed è esattamente ciò che il Consiglio d’Europa con la Risoluzione 2361/21 commi 7.3.1 e 7.3.2 cerca di evitare.
Nel contesto di cui sopra, gli Stati membri continuano a ignorare la Risoluzione 2383/21[1], paragrafi 3 e 8, che impone che fino a quando non esisterà una prova scientifica chiara che i titolari di pass vaccinati non sono contagiosi, l’eliminazione delle restrizioni a loro favore sarebbe discriminatoria; nella direzione opposta vanno invece le disposizioni adottate, dove viene rilasciato un lasciapassare per circolare liberamente alle persone vaccinate (che rischiano di contagiare e di essere contagiate).
In merito alla vaccinazione obbligatoria, già in parte adottata per alcune categorie di persone, è legittimo richiamare il divieto contenuto nella Risoluzione 2361/21 e chiedere un provvedimento del Consiglio per renderla effettiva quanto prima; si noti infine che il Presidente della Commissione europea ha creato una situazione senza precedenti, incoraggiando la discussione degli Stati membri sull’obbligo.
Dal settembre 2020, infatti, l’Unione Europea ha aderito alla Convenzione sui diritti umani, ed è quindi legittimo ritenere che una Risoluzione del Consiglio – che beneficia della presunzione di essere stata adottata in linea con la Convenzione – debba essere rispettata non solo dagli Stati membri, ma dalla stessa Unione Europea; a questo proposito, un discorso pubblico del Presidente della Commissione in cui gli Stati membri del Consiglio d’Europa sono suggeriti e incoraggiati a considerare la vaccinazione obbligatoria è un invito implicito a non rispettare la Risoluzione 2361/21, che vieta espressamente l’obbligo.
Ma anche ignorando gli effetti giuridici della Risoluzione, è fuori discussione che i vaccini Sars CoV2 – i cui studi clinici si concludono a dicembre 2023 – non soddisfino il requisito di essere conosciuti e consolidati, condizione dettata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza 116/21 dell’8 aprile 2021; pertanto, qualora uno Stato membro decida di derogare alla Risoluzione che impone il divieto d’obbligo, esclusa ogni forma di vaccinazione forzata, nessuna sanzione potrà essere comminata per il rifiuto proprio in ragione della natura sperimentale del vaccino Sars CoV 2, che impedisce l’applicazione della decisione nel caso concreto. Tuttavia – se ed ove applicabile – la sanzione della sospensione dello stipendio per i dipendenti che rifiutano di vaccinarsi è chiaramente una misura sproporzionata, se si seguono i dettami della sentenza, e ciò è vero a maggior ragione laddove l’estensione ad ulteriori professioni è all’esame del Governo italiano .
Distinti saluti.
Avv. Giulio Marini, Solicitor – Scotland, Counsel at the International Criminal Court, The Hague, per conto dei firmatari.
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